Usura ed estorsione sono stati i reati confermati in appello. Così come le pene, anche se lievemente ritoccate in qualche caso. Fatto sta che il castello accusatorio costruito nella procura lametina e giudicato dal tribunale ha retto anche nel secondo grado. La corte d’appello catanzarese presieduta da Maria Vittoria Marchianò ha giudicato colpevoli Angelo Torcasio, dimezzando la pena da 5 a 3 anni e 4 mesi, Francesco Muraca a 4 anni e 4 mesi (un anno in meno rispetto al primo grado), ed i fratelli Carlo e Saverio Antonio Stranges. Il primo condannato a 4 anni e 4 mesi (6 mesi in meno), e per il secondo confermata la pena a 3 anni e mezzo. Assoluzione, come aveva sentenziato il tribunale esattamente un anno fa, per il padre dei due fratelli Luigi Stranges.
Chi s’aspettava dichiarazioni bollenti dal pentito di turno è rimasto raggelato. Angelo Torcasio in otto minuti di dichiarazioni non ha detto granchè rispetto a quanto si sapeva nel processo Rainbow, in cui è è imputato insieme ad altre quattro persone di usura ed estorsione.
Jeans, giubbino scuro, maglia a righe e sneakers, il primo collaboratore di giustizia fuoriuscito da clan Torcasio-Giampà, ha fatto le sue dichiarazioni in videoconferenza. Lui da un sito riservato, in una stanzetta anonima con un paio di sedie e piccola scrivania al centro, mentre i giudici e i difensori nell’aula della corte d’appello di Catanzaro.
«Dal 2004 al 29 luglio scorso sono stato associato alla famiglia Giampà», è stato il suo esordio, «e da quella data collaboro con la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro». Torcasio insomma ha ufficializzato due cose: la sua appartenenza ad uno storico clan mafioso di Lamezia, e il suo nuovo ruolo di “pentito”. Angelo Torcasio, a parte il cognome pesante che si porta dietro, ha sposato una Giampà, ed è diventato organico alla cosca ad appena 21 anni. Oggi che ne ha 28 è passato dall’altra parte.
Pubblicizzare questa sua condizione forse era la cosa a cui teneva di più, perchè sui fatti strettamente legati al processo le sue rivelazioni non sono state eclatanti. È pur vero che non può ancora fare grandi rivelazioni, essendo nella fase degli interrogatori su cui sono in corso indagini che potrebbero sfociare in vere e proprie retate tra le famiglie criminali più attive della città. Ma ieri il collaboratore s’è potuto limitare a dire che quando nel 2005 andò dall’imprenditore Giovanni Stella per convincerlo a cedere l’appalto per la costruzione della nuova sede Inps a Francesco Muraca, fu o mandato «da una persona della famiglia Giampà che mi diede l’incarico di accompagnare Muraca dall’imprenditore Giovanni Stella. Quest’ultimo mi conosceva e sapeva che avevo un grande ruolo nella famiglia Giampà. Non avevo bisogno di fare delle minacce, rappresento la famiglia Giampà a trecentosessanta gradi. Stella non si poteva opporre e diede i lavori a Muraca».
Come dire che la minaccia era lui stesso: bastava vederlo e ogni capitano d’azienda si trasformava in agnellino. Quello lì è dei Giampà, meglio cedere.
Alla fine della dichiarazione del collaboratore di giustizia, il suo difensore Rita Cellini ha chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, cioè rifare il processo pur trovandosi in secondo grado. Dopo le condanne per quattro degli imputati inflitte dal tribunale lametino.
La difesa ha pure presentato i verbali di due interrogatori di Torcasio alla procura antimafia che risalgono al 29 luglio ed al 5 agosto. Dopo il suo cambio di casacca.
La pubblica accusa Raffaella Sforza non s’è opposta, ma ha chiesto tempo per esaminare le carte e capire se è il caso di contestare l’aggravante mafiosa per i reati contestati. Ad opporsi invece è stata la difesa degli imputati sostenuta dagli avvocati Aldo Ferraro, Leopoldo Marchese e Francesco Balsamo.
Il presidente della corte Marchianò, ed giudici Giulio De Gregorio e Maria Teresa Carè, si sono ritirati in camera di consiglio: rigettate tutte le richieste.
Il pg Sforza ha fatto la sua requisitoria, gli avvocati le loro arringhe, e la corte è arrivata a sentenza nel pomeriggio. Evidentemente non ha ritenuto importanti le ultime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Torcasio.
La conferma
C’era un gruppodi persone che con la forza dell’intimidazione ha ottenuto un appalto succulento: la costruzione della nuova sede Inps della città.
La ditta Stellache s’era aggiudicata la gara ha ceduto l’appalto all’imprenditore Francesco Muraca, su consiglio della cosca Giampà.
A questoci si arriva non solo attraverso le accuse del pubblico ministero lametino Luigi Maffia, ma adesso anche attraverso le confessioni di Angelo Torcasio, uno degli imputati che dallo scorso luglio sta vuotando il sacco.
L’esponentedella famiglia Giampà-Torcasio è diventato collaboratore di giustizia, e ieri mattina davanti ai giudici della Corte d’appello di Catanzaro ha confermato di avere accompagnato Muraca dall’imprenditore Stella per convincerlo a cedere l’appalto. «Non c’era bisogno di minacce, ero un esponente della famiglia Giampà», ha dichiarato in videoconferenza.